Il blog del Coach

Intervista di Nicholas Montemaggi: 10 domande a Francesco Aluigi

1. Parlaci di te e del tuo passato da atleta: dall’infanzia fino all’età adulta.

Ho avuto la fortuna di crescere in un paesino dell’entroterra riminese, in campagna, in una piccola fattoria poiché mio padre era un Medico Veterinario.
Questo ha significato tanto nella mia formazione in quanto non mi sono mancate le principali esperienze motorie di base che purtroppo vengono oggi negate al bambino nelle società moderne . Parlo di giocare con gli animali, arrampicarsi sugli alberi, cadere, sbucciarsi le ginocchia e tanto altro.
Ho iniziato a praticare Equitazione molto giovane passando dal Calcio giovanile, nella squadra di paese, alle Arti Marziali quali Judo prima, Kung Fu poi, per approdare definitivamente all’età di 18 anni al Taekwondo.
Inoltre, tra i 16 e i 19 anni ho parallelamente praticato attività di Motociclismo-Motocross nella variante dell’Enduro. Ho anche praticato attività di Sub per diletto e tante altre esperienze.
Il TKD ha avuto un peso enorme nella mia formazione sia come atleta che come uomo. Ho avuto la fortuna di incontrare Maestri che avevano maggiormente a cuore la crescita fisica e tecnica prima ancora della prestazione agonistica fine a sé stessa.
Ho raggiunto il grado di Cintura Nera III Dan e ho partecipato a svariate competizioni Nazionali e Internazionali con diversi podi nella mia categoria di peso, la – 64kg.
Ho praticato TKD per 10 anni, e per circa due anni ho parallelamente praticato il Triathlon che avevo conosciuto nel 1996, fino ai miei 28 anni quando ho deciso di interrompere definitivamente quel capitolo ed iniziarne uno nuovo: il Triathlon.


2. Come e quando hai scoperto il triathlon?

Come detto ho scoperto il Tri nel 1996 e siccome il nuoto la bicicletta e la corsa singolarmente erano attività che utilizzavo come sport integrativi, di recupero, prevenzione e riatletizzazione nelle (poche per fortuna) situazioni di riabilitazione post infortunio.
A Riccione si svolgeva una gara fuori dal circuito federale, vi presi parte e fu un innamoramento che continua ancora oggi.

3. Passiamo alla fase da Coach: quando è scattata in te la molla dove ti sei detto “da oggi voglio fare l’allenatore di triathlon”?

Devo ammettere che l’aspetto dell’insegnamento mi aveva sempre affascinato, già quando praticavo TKD e raggiunto il I Dan di grado iniziai a insegnare.
La decisione di allenare nel Triathlon è avvenuta, grazie allo stimolo di uno amico, qualche anno dopo un insuccesso professionale in cui avevo avviato un piccolo centro sportivo specializzato (era il 2007) rivolto al Triathlon puntando maggiormente sul luogo fisico e sui collaboratori che non su di me come figura principale e tale insuccesso mi aveva fatto desistere dal continuare.
Annovero, quindi, i miei primi passi come Coach al Febbraio del 2011 e proprio il 2 Febbraio 2021 festeggerò i 10 anni di attività, da 4 anni sono un Allenatore professionista a tempo pieno.


4. Puoi raccontarci il percorso di Aluigi Triathlon Program? Dai suoi primi passi fino ad oggi?

Io sono laureato in Scienze Politiche ma il mio grande sogno erano le medaglie olimpiche e una professione legata allo Sport, purtroppo medaglie olimpiche non ce ne sono state e la scelta universitaria andò in una direzione differente pur proseguendo con una formazione personale nell’ambito sportivo (ero già Istruttore di TKD), e successivamente, seguendo il percorso formativo della federazione Italiana Triathlon.

5. Periodo Covid-19. Come hai dovuto rimodulare la programmazione degli allenamenti dei tuoi atleti, considerando anche che:
a) non potevano uscire di casa per praticare attività sportiva
b) il 90% di tutte le gare è stato cancellato

Il periodo del primo Lockdown per i professionisti del settore sportivo, come per tanti altri, è stato durissimo e molto sfidante poiché si sono dovute mettere in campo tante proposte alternative per continuare ad allenare i propri clienti.
Avevo già effettuato diversi investimenti in ambito tecnologico per gestire i miei atleti anche da remoto e, forte del fatto che già ero riuscito a gestire perfettamente (mi piace sottolinearlo) un atleta che viveva in Olanda (colui che mi sta intervistando), non ho avuto particolari difficoltà se non quelle di mantenere alta la motivazione degli ATPers e spostare il loro focus dalla competizione agonistica. Questo è stato in assoluto l’impegno maggiore che ho affrontato e questo secondo Lockdown forse è ancora più duro.
Ho comunque perso una quota di atleti e dal punto di vista economico è stata ed è molto dura anche perché ho aumentato gli investimenti per la mia professione potenziando l’utilizzo di piattaforme per la gestione degli allenamenti da remoto che mi permettono di gestire al meglio anche l’aspetto legato allo Strength & Conditioning oltre che materiali e attrezzature per svolgere test, etc.


6. Durante il periodo di lockdown primaverile hai pubblicato un libro Confessioni di un allenatore di Triathlon. Cosa ti ha spinto a farlo?

Devo tutto a mia moglie Bianca ! E’ stata una sua idea!
Bianca oltre ad essere una grande donna, con la quale ho affrontato le sfide della vita degli ultimi 20 anni e che mi ha reso padre di tre figli, è anche una eccezionale studiosa e scrittrice: ha conseguito due Lauree specialistiche in Lingua e Letteratura Straniera e in Psicologia, è stata una giornalista e ha scritto diversi libri.
Il Lockdown, per una coppia affiatata come noi, ha significato un ulteriore approfondimento di legame “amoroso”. Durante le nostre chiacchierate “introspettive” a Bianca è venuta l’idea di scrivermi un libro ma non un libro tecnico, un libro che mi facesse conoscere più come persona.
Così è nato “Confessioni di un Allenatore di Triathlon” in cui anch’io ho partecipato scrivendo la parte dedicata ad informazioni un poco più tecniche.

7. Passiamo agli atleti che alleni: che tipo di profilo hanno e per quali distanze vogliono essere preparati?

Allo stato attuale ho atleti che attraversano tutte le fasce di età, dai 24 anni ai 76 anni (ho seguito per un paio d’anni la programmazione di un atleta “diversamente giovane” e per me è stata una esperienza di crescita umana più che sportiva).
Al momento non ho atleti dell’alto livello, seguo Amatori con differenti obiettivi, alcuni puramente agonistici.
Io ho deciso di specializzarmi nel Triathlon per cui seguo la preparazione su tutte le distanze del Triathlon nonché la sua versione Off-Road, amo la Mtb e i percorsi Trail.
Certamente le distanze medie e lunghe sono quelle che affascinano maggiormente.

8. IronMan: l’obiettivo ed il sogno di tanti atleti. Che consigli daresti a qualcuno che vorrebbe affrontare per la prima volta la lunga distanza?

Di consigli ce ne sarebbero tanti. Spesso ne do pochissimi perché riconosco l’importanza della esperienza personale di ogni atleta. Cerco di dare i suggerimenti che ritengo veramente importanti e che penso non vadano ad influenzare le libere azioni ed iniziative personali dell’atleta. Questo è un aspetto che ritengo molto importante.
Certamente il mio consiglio principale è di arrivare al proprio primo IM dopo una adeguata preparazione che si basa necessariamente sulle esperienze pregresse dell’atleta, il grado tecnico, la vita sociale, la famiglia, la professione.
Purtroppo oggi la tendenza è di avere tutto subito.


9. Alimentazione e riposo: due aspetti che spesso vengono ignorati nel dizionario degli atleti amatori. Perché sono importanti e perché gli atleti amatori spesso non le considerano come parte fondamentale di un percorso per il loro grande obiettivo finale?

In realtà l’alimentazione viene tenuta in alto conto, anche se spesso si pone maggiore attenzione all’integratore, che riveste un importante ruolo ma che non può prescindere da una corretta alimentazione, ma a mio vedere viene considerata (dall’amatore) da una prospettiva errata.
A mio avviso l’alimentazione di un atleta amatore sarebbe bene che venisse intesa come un regime alimentare sano, come un vero e proprio stile di vita e non il semplicemente seguire una dieta finalizzata alla prestazione per poi ritornare a comportamenti scorretti appena l’obiettivo a cui essa era legata venisse raggiunto.
Per quanto riguarda il riposo effettivamente è un ambito assolutamente bistrattato e ritengo che i fattori siano più legati a un “malessere” interiore, una frenesia che li porta a voler fare sempre di più e a non ascoltare il proprio corpo men che meno il proprio allenatore nonostante paghino un professionista per allenarli.
A mio avviso i messaggi da Mainstream quali Never give up – No pain No Gain et similia sono assolutamente fuorvianti e non profondamente compresi nel loro reale significato.

10. Un’ultima domanda un po’ più personale sulla nostra relazione atleta-allenatore. Ci siamo conosciuti nell’estate 2017 in quanto volevo preparare il mio primo mezzo IronMan e mi era stato consigliato di rivolgermi a te. Quanto è cambiato da quel giorno in cui ti si è presentato davanti questo ex calciatore e quanto c’è ancora da lavorare insieme per raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati?

La persona che ho conosciuto nel 2017 non è cambiata dal punto di vista della mentalità (Nicholas ha l’atteggiamento da atleta) sebbene stia “maturando” sportivamente parlando, è però un’altra persona dal punto di vista fisico e del Lifestyle; tecnicamente è migliorato enormemente.
Ha subito una trasformazione fisica legata alla specificità della disciplina, ha seguito tutti i consigli che gli ho dato lungo il percorso di collaborazione, perché il micro-team che si crea tra Coach e Atleta è una collaborazione, e ora ha raggiunto un discreto grado di autosufficienza negli allenamenti e nella gestione delle gare.
Tra le diverse definizioni dell’allenamento sportivo a me piace quella che lo definisce come processo psico-pedagogico e Nicholas lo ha ben compreso.

Grazie mille per l’intervista!

Leggi l'articolo originale
sul blog di Nicholas: www.nicholasmontemaggi.it